Il talento, il destino e i segnali per riconoscerlo

Se sei una ghianda non potrai che diventare una quercia, un giorno. Per quanto tu tenti di  forzare la tua natura, il tuo destino è di diventare una quercia. Niente altro che una quercia.  E’ il tuo daimon.

Ciascuno di noi è unico, ciascuno di noi ha un talento, scoprirlo e nutrirlo con l’applicazione è ciò che dà un senso al nostro essere qui e ciò da cui dipende la nostra felicità e il nostro equilibrio. Ma sappiamo riconoscerne i segnali nei nostri figli ? E del nostro talento che ne è stato? Perchè crescere i figli è un po’andare anche alle radici di noi stessi, interrogarci e capire se, mentre loro cercano di fare luce sul loro destino, il nostro lo stiamo compiendo. La teoria della ghianda e il concetto del daimon dello psicanalista e filosofo americano James Hillman racchiudono in se stessi l’accettazione di un mistero, di qualcosa di innato che chiede solo di poter uscire allo scoperto rispettandone tempi e modalità, diverse per ognuno di noi.

Daimon è una parola greca e significa demone. Andando oltre la sua comune accezione, il termine rende l’idea perchè è ciò che pervade tutto il nostro essere. Si rifà al mito di Er di Platone e Hillman descrive il daimon come la creatura divina che ci guida nel compimento di quel  disegno che la nostra anima si è scelta prima di nascere e di cui ci dimentichiamo al momento in cui veniamo al mondo. Ma la vocazione, la chiamata, resta. E il daimon fa di tutto affinchè noi la viviamo.

Alla chiamata del destino spesso sembriamo però resistere, siamo confusi, non sappiamo riconoscere la nostra vocazione. Paura? Disistima? Pigrizia? Forse, semplicemente un’ attesa necessaria al suo manifestarsi.  Ma bisogna prestare attenzione ai segnali dell’infanzia. A volte sono improvvisi, a volte perfino  contraddittori, ma solo in apparenza.

Tra i vari esempi Hillman ricorda che Ella Fitzgerald ad un concorso per dilettanti all’Opera House di Harlem dove si presentava per ballare improvvisamente cambiò idea decidendo che avrebbe cantato. Era … Ella Fitzgerald.

A volte il daimon si rivela così, all’ improvviso, a volte ti protegge affinchè tu raggiunga l’età in cui sarai in grado di guardare in faccia il tuo destino. Come accadde al torero Manolete. Avrebbe innovato lo stile stesso della corrida, ma chi l’avrebbe mai detto? Era timido e pauroso da bambino tanto che gli amici lo prendevano in giro perché ‘era sempre attaccato alle sottane della madre’ così  come in seguito lo sarebbe stato alla mantilla.

La scrittrice francese Colette aveva una vera e propria avversione per la scrittura come se il suo daimon volesse proteggerla da un inizio troppo precoce, eppure negli  anni in cui maturava il vissuto necessario a nutrire i suoi scritti “Colette provava una vera avidità per i materiali della sua vocazione”. Carta di tutti i tipi, matite di tutti i colori, temperini, calamai.. e leggeva, leggeva…

Il modo in cui siamo stati cresciuti, i condizionamenti esterni, gli schemi mentali che cicostruiamo, le necessità del vivere ci soffocano e ci confondono, ma il nostro daimon è lì a ricordarci che dobbiamo compiere il nostro destino e a creare le condizioni stesse affinché accada. Facendoci incontrare le persone utili allo scopo, frapponendo nella nostra vita anche gli ostacoli da superare perché necessari alla nostra evoluzione.

Se realizziamo che esiste la spinta del nostro daimon, allora si spiegano molte cose.

Quando non lo assecondiamo dentro di noi sentimenti e sensazioni si aggrovigliano, stiamo male nell’animo e il corpo ne porta le tracce. Il malessere può esplodere in rabbia o farci implodere. Tutto pur di non ascoltarci, e non sarebbe difficile perchè  quando stiamo male è evidente che dentro di noi qualcosa urla. Ma proseguire su una strada conosciuta, per quanto dolorosa è, almeno all’ apparenza, più semplice e sicuro. Ed è il motivo per il quale resistiamo al cambiamento necessario alla nostra realizzazione.

Eppure dovremmo assecondarlo, non resistervi, accogliere anche le difficoltà come parte di un più grande disegno, accettare l’idea di un mistero che deve compiersi.

E a volte,  semplicemente realizzare che siamo saliti su un palcoscenico convinti di dover ballare e scoprire, invece, che siamo fatti per cantare.

2 pensieri su “Il talento, il destino e i segnali per riconoscerlo

  1. agersocialslow ha detto:

    Mi son beccato la malattia della depressione e magari in questo periodo confuso, forse potrò vedere meglio dentro di me e cosa mi rende soddisfatto, senza pensare di ottenere il bravo dagli altri ma rendere sufficiente il sorriso mio e di chi mi sta vicino. Grazie per i tuoi sempre motivanti post!

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  2. piero ha detto:

    Per agersocialslow e per tutti noi:

    Invictus

    poesia di William Ernest Henley

    Out of the night that covers me,
    Black as the pit from pole to pole,
    I thank whatever gods may be
    For my unconquerable soul.

    In the fell clutch of circumstance
    I have not winced nor cried aloud.
    Under the bludgeonings of chance
    My head is bloody, but unbowed.

    Beyond this place of wrath and tears
    Looms but the Horror of the shade,
    And yet the menace of the years
    Finds and shall find me unafraid.

    It matters not how strait the gate,
    How charged with punishments the scroll,
    I am the master of my fate:
    I am the captain of my soul.

    Dal profondo della notte che mi avvolge
    buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
    ringrazio qualunque dio esista
    per l’indomabile anima mia.

    Nella feroce morsa delle circostanze
    non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
    Sotto i colpi d’ascia della sorte
    il mio capo è sanguinante, ma indomito.

    Oltre questo luogo di collera e lacrime
    incombe solo l’Orrore delle ombre
    eppure la minaccia degli anni
    mi trova, e mi troverà, senza paura.

    Non importa quanto sia stretta la porta,
    quanto piena di castighi la vita.
    Io sono il padrone del mio destino:
    io sono il capitano della mia anima.

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