I giovani meritano speranza e fiducia. Più che i loro genitori

Io non ho paura per il futuro dei giovani, quelli che si danno da fare, nonostante tutto. Nonostante le lauree a pieni voti e le attese deluse, nonostante si adattino a sbarcare il lunario nei call center o a fare i camerieri, nonostante l’incedere in bilico su un’esistenza precaria eppure in movimento: il segreto è continuare a camminare sul quella fune per non precipitare.  No, non temo per il futuro di questi giovani perchè se non qui, nel mondo una strada che li realizzi la troveranno. Ne sono certa.

Io temo di più per i genitori che hanno cresciuto molti di loro e che oggi dipingono per la generazione che hanno allevato un futuro a tinte fosche. Mi fanno incazzare  parecchi di questi adulti che si lamentano e dicono ‘Non c’è speranza per mio figlio’. Perché sono stati proprio loro a contribuire a creare le condizioni di oggi, ad assistere al degenerare di un Paese che a bordo del suo benessere andava alla deriva in un mare di clientelismi e corruzione, di una politica che si è dimenticata di che cos’è il bene comune in una società che ha continuato a sprecare e a tutelare diritti acquisiti senza preoccuparsi di cosa avrebbe tolto a chi sarebbe venuto dopo.  E oggi si arrabbiano. Perché i loro figli non hanno un futuro, perchè in Italia non vince il merito, perché a forza di lavori precari i ragazzi non possono permettersi uno straccio di domani.

Quanti tra di loro a questi figli avrebbero portato lo zaino fin dentro la classe se avessero potuto, quanti andavano ad imprecare dai professori se il ragazzo prendeva un voto che non consideravano adeguato, quanti impegnati a far soldi e carriera si sono giustificati pensando che valeva più la qualità che la quantità del tempo da trascorrere a casa e mettevano a tacere i sensi di colpa coprendo i ragazzini di regali prima ancora che cominciassero a coltivare un desiderio senza preoccuparsi dell’importanza di educarli a coltivare un sogno. E di allenarli alla fatica per conquistarlo. Quanti hanno loro insegnato che invece, a debito, si poteva comprare tutto, anche una vacanza.

Temo anche per i figli di quei genitori da sempre avvelenati contro ‘il sistema’ impegnati costantemente non a pensare come costruire ma a  protestare contro qualcosa o qualcuno per ciò che non hanno avuto dalla vita,come se questo li potesse sollevare dalle responsabilità di offrire ai loro figli le ragioni per avere speranza. Non basta dire ai figli quanto si vuole loro bene. Amore significa, nonostante le difficoltà e le delusioni, educare i figli alla felicità. E possiamo farlo solo se noi stessi, nonostante le prove cui la vita ci sottopone riusciamo ad essere un esempio per loro trovando piccole-grandi ragioni per essere felici per primi.

I figli di oggi sono il prodotto dei genitori di ieri, del modo in cui loro stessi hanno affrontato le difficoltà e del Paese che hanno contribuito a costruire. La colpa non è degli ‘altri’ è di un’intera generazione che ha permesso che le condizioni di oggi si realizzassero e oggi dire loro che non c’è più speranza ha il sapore di una beffa.

C’è speranza ragazzi, c’è sempre se ci aggiungete l’azione. Se vi date da fare, se vi considerate italiani e cittadini del mondo. Non scappate da questo Paese, è il vostro Paese, amatelo pur con tutte le sue contraddizioni, ma allargate i confini del vostro orizzonte, andate a conoscere cosa c’è oltre questa Italia bellissima ma piccola e di limitate vedute. Ma andate per tornare. Se non voi, chi potrà cambiarla?

Con poco oggi potete viaggiare e mantenervi all’estero se volete, potete conoscere persone e inondare la mente di idee, prospettive e possibilità nuove. Potete capire che, nonostante quello che vi stanno raccontando, voi avete molte più ragioni di altri per avere speranza perché avete auto un’istruzione, mezzi di comunicazione straordinari e anche perchè siete cresciuti in un Paese senza guerre, né fame. Ha già fatto la differenza nascere qui piuttosto che altrove. Anche per questo non avete il diritto di non avere speranza.

La speranza è nel fare. E nel recuperate i vostri sogni.

Alleatevi.

Alleatevi per poter continuare a sognare, per proporre il cambiamento che volete realizzare. Se non voi chi potrà migliorare, far rinascere questo Paese?

Alleatevi tra voi con determinazione, con fiducia, con l’energia di cui sono carichi i vostri anni.  Alleatevi con il buono che c’è, e ce n’è,  tra i vostri padri e le vostre madri: quelli che si distinguono per le azioni concrete con le quali stanno cercando di cambiare questo stato di cose e che vi sono accanto per allenarvi al futuro.

E alleatevi con la saggezza. Con chi ha conosciuto il valore della conquista in tempi duri, molto duri. Quelli che oggi la società considera per lo più un costo, un peso, hanno una ricchezza che fa al caso vostro: moltissimi dei vostri nonni hanno conosciuto la vostra stessa precarietà, la fatica, la paura gli stessi sentimenti che provate oggi. Sì, sono altri tempi, ma vi possono insegnare il coraggio.

Abbiate fiducia, non mollate. E, come diceva Ghoete ricordate:

“C’è una verità elementare la cui ignoranza uccide innumerevoli idee e splendidi piani: nel momento in cui uno si impegna a fondo, anche la provvidenza si muove. Infinite cose accadono per aiutarlo, cose che altrimenti mai sarebbero avvenute… Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di poter fare, incominciala. L’audacia ha in sè genio, potere, magia. Incominciala adesso”.

L’intervista. Economia, il potenziale del ‘saper fare’ artigiano

Intervista a Stefano Micelli, docente di economia a Ca’ Foscari: «Dobbiamo dimostrare agli italiani e alla politica che il saper fare è una risorsa da poter spendere»

Una nuova generazione di piccole imprese che uniscano le potenzialità del sapere artigiano e della tecnologia e che realizzino prodotti innovativi, personalizzati. Lo fanno persino gli americani puntando anche sui Fablab dove si trova supporto per realizzare i propri progetti e le fiere in cui i ragazzi si cimentano nel lavoro manuale. E’ questa la strada che traccia Stefano Micelli in ‘Futuro artigiano, l’innovazione nelle mani degli italiani’ (ed. Marsilio). Secondo Micelli -professore di economia e gestione delle imprese a Ca’ Foscari e direttore della Venice International University- nei nostri territori ci si sono enormi energie da utilizzare per competere con successo.      

Prof. Micelli, nel suo libro dice che non dobbiamo affatto temere la globalizzazione ma sfruttarla. Ma quali sono le condizioni?

Perché questi saperi abbiano un valore dobbiamo proiettarli in un universo più grande utilizzando le reti: da internet alle reti tra imprese. E poi dobbiamo raccontare il nostro saper fare. In Italia Vyrus mostra in un video come costruisce moto personalizzate: è un bellissimo esempio di come raccontare la creatività.

 Citando esempi di sapere artigiano come Vyrus, Dallara, Camoga, Veneta cucine fino alla Zamperla, oltre ai grandi marchi della moda, sottolinea che da noi non riescono a ‘fare scuola’. Perché?

Perché da noi il dibattito sulla qualità del lavoro artigiano è legato indissolubilmente alla dimensione d’impresa, ma così non possiamo cogliere l’importanza del saper fare. Dobbiamo spostare il focus convincendo gli italiani e la politica a guardare al saper fare come risorsa da spendere nell’economia globale e non solo nel folklore.

 Gli imprenditori lamentano però una burocrazia e normative che soffocano le aziende, un fisco che le strozza, leggi che ingessano il mercato del lavoro e impediscono di crescere. Si può competere lo stesso con queste premesse?

Non sono certo limiti occasionali, ma il fatto è che parte della cultura economica italiana considera i nostri saperi come marginali. Invece solo se portati al centro dello sviluppo economico e all’attenzione del mondo otterremo il rispetto di cui la nostra economia ha bisogno e poi sarà anche più semplice ottenere condizioni diverse dal sistema pubblico in termini di burocrazia fisco e semplificazione.

Allora anche le associazioni devono porsi in maniera nuova?

Hanno un duplice ruolo, quello di sindacato per favorire la crescita in un tessuto che deve necessariamente essere più favorevole all’iniziativa privata, ma devono anche iniziare a promuovere formule nuove per la competitività e l’internazionalizzazione giocando in attacco, mettendo in evidenza i casi di successo che hanno saputo dimostrare la percorribilità di strade nuove.

Nel libro sottolinea che abbiamo un talento lungamente coltivato, ma serve fortuna per emergere e non è detto che la fortuna sia qui: dobbiamo pensare anche di vendere all’estero il nostro saper fare. Ma non è un rischio?

Lo sarà se non riusciamo a rinnovare la qualità e la forza del nostro saper fare, se non investiamo in scuola e formazione.

L’Italia conta 5 milioni e mezzo di persone tra disoccupati e inattivi di cui 2 milioni e 200 mila giovani. Eppure tante piccole imprese non riescono a trovare dipendenti, specie tra gli artigiani.

Abbiamo raccontato il lavoro artigiano come un’ opzione di serie B. Oggi invece le mansioni artigiani devono essere considerate come i lavori più interessanti dell’economia della conoscenza. I giovani torneranno quando sapremo riproporli come opportunità che hanno a che fare col sapere, l’innovazione e la dimensione internazionale.

In Fiera ‘Abilmente’ potrebbe essere maggiormente funzionale a questa logica?

La Fiera di Vicenza è  stata abile nel promuovere questo spazio unendolo a Etsy.com,  portale che ha l’ obiettivo di valorizzare nel mondo la cultura prodotto fatto a mano. E’ possibile immaginare di arricchire il percorso creando collegamenti sempre più fitti con il sistema industriale e facendo diventare i laboratori di Abilmente una parte della ricerca e sviluppo nostre imprese.

Senza citare la solita Cina, ci sono paesi come Brasile e Turchia che sono cresciuti moltissimo, ma non le nostre esportazioni verso di loro. Perché?

A Brasileinvest, importante società finanziaria brasiliana che ha a capo un italiano, mi hanno chiesto: perché gli italiani non approfittano delle opportunità che ci sono in Brasile? La risposta è che il nostro Paese non ha saputo essere attento a una nuova geografia del mondo che  invece è necessario fare nostra.

Lei fa l’economista, ma provi a mettersi nei panni di un imprenditore: oggi quali sono le prime tre cose che farebbe?

Innanzitutto un viaggio nei paesi emergenti per scoprire che non sono solo un rischio ma anche una grande opportunità. Poi assumerei dei giovani per sfruttare al massimo le opportunità della rete. E investirei in design: perfino una macchina utensile deve essere bella: è questo che si pretende dai gli italiani, non dobbiamo dimenticarlo.

Cinzia Zuccon Morgani

Pubblicato il 29 novembre 2011 su ‘Il Giornale di Vicenza’, sezione economia, pag.10

La fatica e il desiderio

Lo zaino pesa, eh … se pesa! Al mattino, sulle strade che portano alle scuole, vedi mamme, papà e nonni pronti a sollevare il bimbo da quel carico. Non sia mai che il piccolo possa curvarsi permanentemente sotto quel fardello e allevarsi una scoliosi … Che ci costa alleggerirlo? Massì, portiamogli noi anche il peso dell’istruzione, fosse anche solo per quei trenta passi che lo separano dallo sportello dell’auto fino al cancello della scuola… Ma che sia un bene?

Intendiamoci: qua non si tratta di essere mamme-tigri, emuli di quella Amy Chua, docente di diritto alla prestigiosa Yale Law school, convinta che il sistema migliore per educare la figlia fosse inchiodarla al pianoforte impedendole perfino di andare a fare pipì finché non avesse eseguito il suo pezzo alla perfezione. Ma tra la mamma-tigre cinese e l’italica  mamma-chioccia ci sarà pure un’alternativa. Perché questi son tempi duri e i figli bisogna allenarli. Allenarli, oltre all’impegno, anche alla fatica che ne è una componente essenziale. I bimbi e i ragazzi di oggi sono destinati a confrontarsi con un mondo più grande, più affamato di riscatto, più competitivo, più allenato proprio alla  resistenza, alla fatica e al desiderio della conquista di un domani migliore. La stessa tenacia  e voglia di riscatto che avevano i nostri nonni, i nostri genitori e qualcuno della nostra generazione che già se la passava meglio della precedente. Ma il ‘domani migliore’ i nostri figli lo vivono già: nonostante la crisi che grava su sempre più famiglie non possiamo negare che  la stragrande maggioranza di loro abbia cibo in abbondanza, vestiti, istruzione, attività extrascolastiche, vacanze e giochi per Natale e non solo.  Ma li stiamo allenando al futuro? Li stiamo aiutando, passo passo, a capire che senza impegno e senza fatica niente di tutto questo sarà più garantito? Che questo benessere non è acquisito per diritto ma sarà sempre di più frutto di una conquista?

Sì, sono cose più grandi di loro.

Ma noi –come diceva il grande poeta libanese Khalil Gibran- siamo l’arco che lancia i figli verso il domani. Abbiamo il dovere di tendere bene quell’arco per dare alla freccia la direzione giusta. E nella tensione di quell’arco ci deve essere  tutto il nostro amore, il nostro sostegno,  ma anche la capacità di far loro coltivare il desiderio, fosse anche solo di un gioco, in vista di un sogno da realizzare. E c’è il dovere di insegnare loro tutto il valore e tutta la bellezza della conquista conseguita con le proprie forze e capacità.

Ecco allora perché lasciare che i nostri figli si carichino il loro zaino sulle spalle. C’è un messaggio importantissimo, per quanto simbolico, dentro a quel gesto. Significa: “Sappi che ce la puoi fare, che hai l’energia per affrontare il mondo, che ho fiducia nelle tue possibilità. Io ti sarò sempre accanto, ma tu guarda avanti consapevole del tuo valore e un passo dopo l’altro conquisterai il tuo domani”.

Editoriale di novembre del sito principieprincipi